venerdì 25 luglio 2008

'Impianti vecchi, scorie, terrorismo i francesi sono seduti su una bomba'

Repubblica — 24 luglio 2008 pagina 3 sezione: POLITICA ESTERA
«Poche settimane fa, mentre volavo con mia moglie su Parigi, pensavo: "I francesi sono seduti su una bomba a orologeria, devono disinnescarla". Quello che ora sta avvenendo conferma, purtroppo, la mia convinzione». Jeremy Rifkin, il profeta dell' era dell' idrogeno, commenta dal suo studio di Washington l' accavallarsi degli incidenti nucleari nel paese dotato delle tecnologie atomiche più affidabili. Dietro la moltiplicazione degli allarmi c' è un fattore strutturale? C' è l' invecchiamento di un parco centrali nato assieme al sogno della force de frappe? «Il problema è doppio. Da un lato pesa la decisione, non solo in Francia, di allungare la vita media delle centrali per evitare, a fronte di una difficoltà crescente nel costruire nuovi impianti, il crollo della produzione elettrica del settore. A questo punto non si può più pensare che la minaccia venga solo da Est, il rischio riguarda tutta l' Europa. Ma c' è poi un altro fattore strutturale che viene spesso taciuto: l' elenco dei mal funzionamenti e dei guasti nelle centrali nucleari è lunghissimo anche nel caso di reattori nuovi per la semplice ragione che queste macchine non sono sicure. E che le probabilità di un incidente catastrofico non vanno trascurate». Eppure, per molti anni, i francesi hanno vissuto tranquillamente a fianco dei loro 59 reattori. «E si possono considerare fortunati per essere arrivati fino a oggi contando solo incidenti di livello non molto grave. Anche perché bisogna tener conto di un fatto fondamentale: il rischio non è legato solo a problemi di funzionamento dei reattori. C' è il trasporto. C' è l' accumulo di una enorme quantità di scorie che resteranno pericolose per ere geologiche. C' è il pericolo terrorismo, che non è solo teorico, come il piano d' attacco recentemente sventato in Australia dimostra. Io temo che il prossimo 11 settembre riguardi una centrale nucleare: l' esposizione è troppo alta e cresce con il crescere del numero dei reattori». La nuova serie di incidenti è stata data con buona evidenza dalla stampa francese. Vuol dire che qualcosa sta cambiando nell' opinione pubblica? «Sì, è un processo iniziale ma già netto. Anche perché la Francia si sta concretamente interrogando sul suo futuro e sul ruolo dell' Europa nella grande partita energetica che oggi si è aperta sotto la spinta potente di due fattori inarrestabili: il cambiamento climatico e la crescita del prezzo del petrolio. I combustibili fossili appartengono al passato: il ventunesimo secolo avrà un altro segno e chi lo capirà prima ne trarrà anche un vantaggio economico». C' è chi sostiene che proprio per combattere il cambiamento climatico occorra far ricorso al nucleare. «Il nucleare è la tecnologia della guerra fredda. Appartiene a un mondo diviso in due in cui gli equilibri erano segnati dal terrore e da una struttura energetica centralizzata figlia, anche economicamente, di quella logica militare. Il secolo che si è appena aperto è il secolo della terza rivoluzione industriale. Il secolo di Internet e dell' energia dolce che viene prodotta dal basso, nei quartieri, nelle case, mettendo in rete, in entrata e in uscita, i flussi dell' informazione e dell' energia. E' un modello decentrato, democratico, più affidabile sia dal punto di vista dei costi che da quello dell' indipendenza della produzione». Non le sembra un' utopia in un mondo che lotta disperatamente per il controllo dell' ultimo barile di petrolio? «Guardi, un segnale di grande speranza viene proprio dalla Francia. Il 13 luglio, a Parigi, è stato firmato l' accordo per la costituzione dell' Unione euro mediterranea dell' energia solare. E' un evento epocale, che fa pensare al momento in cui un piccolo gruppo di grandi sognatori fondò la Comunità europea per l' acciaio e per il carbone. Quell' atto cambiò il futuro del continente e oggi l' Europa è chiamata a un salto analogo». Eppure il presidente francese ha rilanciato l' ipotesi nucleare. «C' è una lotta tra il passato e il futuro. Ma, con la decisione di Nicolas Sarkozy di lanciare l' Unione euro mediterranea dell' energia solare, la Francia ha compiuto una mossa strategica indicando un progetto vincente: usare il potenziale tecnologico della sponda Nord del Mediterraneo per rendere utilizzabile l' enorme quantità di energia solare disponibile sulla sponda Sud e sulla sponda Est. L' Unione euro mediterranea dell' energia solare è il primo pilastro di questo grande progetto. Si tratta di poggiare gli altri: l' idrogeno per immagazzinare l' energia del sole, le reti intelligenti per diffonderla, gli edifici bioclimatici per catturarla. Ma la direzione è quella giusta. Chi avesse ancora dubbi guardi cosa sta succedendo nell' altra Francia: quella del nucleare». - ANTONIO CIANCIULLO

giovedì 24 luglio 2008

Nucleare sicuro di ultima generazione

da Repubblica.it


La direzione dell'impianto e le autorità assicurano che l'incidente non è grave
e non avrà conseguenze né sui dipendenti coinvolti né sull'ambiente

Francia, contaminati 100 operai
della centrale nucleare di Tricastin

E' la terza fuga radioattiva nelle ultime due settimane


La centrale Tricastin

PARIGI - Cento operai della centrale nucleare francese del Tricastin, dove alcuni giorni fa c'era stata una fuga di materiale radioattivo, sono stati contaminati "leggermente" oggi da elementi fuorusciti da una tubatura nella reattore numero 4, fermo per manutenzione. Quello odierno è il terzo incidente verificatosi in un impianto nucleare francese nelle ultime due settimane. Una sequenza che ha scatenato polemiche intorno alla sicurezza degli impianti, anche in Italia dove il governo Berlusconi ha appena riproposto il nucleare come strada da percorrere.

Il direttore della centrale, Alain Peckre, ha parlato di incidente "non grave", da classificare al livello 0 di una scala che arriva a 7. E ha precisato che intorno alle 9.30 di questa mattina "un condotto è stato aperto nell'ambito delle operazioni di manutenzione e c'è stata una fuga di polvere radioattiva". La prefettura e l'Autorità per la sicurezza nucleare (Asn) sono state subito avvertite.

Lo stesso Peckre ha quindi riferito che 97 dipendenti di EDF e di imprese appaltanti sono stati portati in infermeria per esami medici. Altrettanto è stato fatto con altri 32 operai che erano entrati poco prima nell'impianto e vi si erano avvicinati. La portavoce della centrale ha riferito che su queste 129 persone "100 sono state leggermente contaminate da elementi radioattivi quaranta volte inferiori al limite regolamentare annuale". La maggior parte, stando alle prime indiscrezioni, sarebbe stata contaminata da cobalto 58, un "metallo bianco" che entra nella composizione di leghe speciali, pneumatici e coloranti ma che, attivato a lviello radio, è presente nei reattori e da solo possiede il 39 per cento di tutta l'attività irradiante. Tutti i dipendenti contaminati sono stati comunque rimandati a casa dopo gli accertamenti.

In attesa che vengano accertate le cause dell'incidente, la direzione dell'impianto e le autorità assicurano che "non avrà conseguenze né sulla salute delle persone né sull'ambiente".

Nella notte tra il 7 e l'8 luglio nella centrale di Tricastin, situata a 200 chilometri dal territorio italiano, c'era stata una perdita e acqua contenente uranio si era riversata nei fiumi della zona. Pochi giorni dopo fuoriuscite di acque contaminate da elementi radioattivi, "senza impatto sull'ambiente", erano state registrate in un impianto della Areva a Romans-sur-Isere, nel dipartimento della Drome, sempre nel sud-est della Francia

(23 luglio 2008)

sabato 19 luglio 2008

incidenti nucleari in Europa nel 2008 !!!


2008-07-18 15:49 da ANSA
Gli incidenti del 2008 in Europa
ROMA - L'ennesimo incidente avvenuto in Francia va ad aggiungersi ad una lista già nutrita di piccoli problemi negli impianti nucleari di diversi paesi europei, dall'inizio dell'anno.
Ecco l'elenco:
GERMANIA - Il 4 febbraio un incendio si sviluppa nelle centrale nucleare di Kruemmel, ferma dal giugno 2007 dopo un altro incendio. Non sono registrate fughe radioattive.
SLOVENIA - Il 4 giugno si verifica una perdita nel circuito di raffreddamento della centrale di Krsko. Il reattore è fermato per alcuni giorni. Non sono denunciate perdite radioattive.
UCRAINA - Le autorità rendono noto che la settimana precedente, in una centrale vicina al confine polacco, si è rotto un tubo di raffreddamento non a contatto con materiali radioattivi.
GERMANIA - Il 25 giugno è reso noto che a Wolfsbuttel, in una miniera usata come deposito di rifiuti nucleari è registrata la presenza di liquidi radioattivi oltre i limiti accettabili.
UNGHERIA - Il 7 luglio la centrale di Paks viene fermata temporaneamente per un piccolo incidente durante lavori di manutenzione al blocco 1 dell'impianto.
FRANCIA - L'8 luglio, in una centrale di Tricastin avviene lo scarico accidentale di 30 metri cubi di acque usate contenenti 12 grammi di uranio per litro.
SPAGNA - Il 13 luglio sono resi noti due incidenti alle centrali di Cofrentes e di Vandellos. A Cofrentes, dove l'incidente è il quarto in 12 giorni, si registra un aumento di potenza non programmata superiore del 20% di quella autorizzata. A Vandellos si verifica invece una piccola fuga a terra di materiale radioattivo nei pressi di serbatoi degli impianti di acqua di raffreddamento. Anche a Vandellos c'era stato un incidente simile pochi giorni prima.
FRANCIA - Il 16 luglio, a un paio di km dalla centrale di Tricastin, viene registrato un tasso anormalmente elevato di uranio, non collegabile, sembra, con la perdita dell'8 luglio. Secondo la Commissione di ricerca e di informazione indipendente sulla radioattività, sarebbe da attribuire a un deposito interrato di scorie di un impianto militare di arricchimento dell'uranio attivo.


Grazie ATOMO !!

mercoledì 16 luglio 2008

State of the World 2008: Innovations for a Sustainable Economy






edizione italiana e , di seguito, edizione originale : traduzione (dall'inglese) della presentazione


Il Worldwatch Institute, fondato nel 1974, autorevole centro di studi interdisciplinari sui problemi ambientali del nostro pianeta. L'Istituto si batte per una società sostenibile, per una risposta ai bisogni umani senza distruggere la sopravvivenza dell'ambiente naturale e le speranze delle generazione future.

" Alcune delle aziende più potenti di oggi hanno annunciato iniziative ambientali negli ultimi due anni; tra esse Citigroup, Goldman Sachs, Kleiner Perkins Caufield & Byers, McKinsey & Company e Wal-Mart. Molte altre grandi aziende stanno indirizando la loro politica ed i loro investimenti di capitale. Ventisette grandi aziende, tra cui Alcoa, Dow Chemical, Duke Energy, General Motors, e Xerox, sono attivamente esortando il Congresso degli Stati Uniti per far passare la legislazione che disciplina le emissioni di gas serra, cosa che sarebbe stata impensabile due anni fa. "Abbiamo oggi gli strumenti per orientare l'economia globale su un percorso sostenibile". Un altro segno di profondo cambiamento è il 575 ambientale ed energetica hedge fund , la maggior parte di loro formatisi negli ultimi anni. "Pulizia tech" è rapidamente cresciuto fino a essere di tutto il mondo del terzo più grande destinatario di capitale di rischio, con eventuale aggiunta di solo Internet e della biotecnologia. Anche 54 banche, che rappresentano l'85 per cento, a livello mondiale, del privato con capacità di finanziamento di progetti, hanno approvato gli Equator Principles, un nuovo standard internazionale della sostenibilità degli investimenti.Un membro " dell'Organizzazione Mondiale del 2008" cita studi recenti per concludere che il danno da cambiamento climatico globale potrebbe essere pari alll'8 per cento della produzione economica globale entro la fine di questo secolo. La relazione rileva inoltre che, secondo la Banca Mondiale, circa 39 paesi hanno subito un calo del 5 per cento o più della ricchezza quando nella misura del conto si includono anche le perdite ambientali, come ad esempio la distruzione insostenibile delle foreste, esaurimento di risorse non rinnovabili, e danni da emissioni da carbonio .
Per 10 paesi, il calo variavano dal 25 al 60 per cento. Per evitare il collasso economico a livello globale, gli autori di "Stato del Mondo 2008" consigliano importanti riforme della politica del governo per orientare gli investimenti lontano da attività distruttive come ad esempio l'estrazione di combustibili fossili e verso una nuova generazione di industrie ecologicamente sostenibile. Raccomandazioni specifiche per rendere i prezzi consigliano di ridurre le sovvenzioni per attivita' non sostenibili e l'adozione di tasse ambientali. La relazione sollecita anche una valutazione completa sulla natura dei servizi forniti agli umani e descrive gli sforzi volti a creare mercati per proteggere la biodiversità :" il progresso umano ora dipende da una trasformazione economica che è più profonda rispetto a qualsiasi visto nel secolo scorso." "Abbiamo oggi gli strumenti per orientare l'economia globale su un percorso" sostenibile"," dice il progetto di Gary Gardner e Tom Prugh. "Il compito è ora quello di mettere i progetti insieme ed in scala in modo che essi diventino la norma in tutta l'odierna economia".
I membri dell'"Organizzazione mondiale 2008" , trovano sempre più evidente che l'economia globale puo' ora distruggere le basi ecologiche. La Banca mondiale cita l'ex capo economista Nicholas Stern, autore del famoso Stern, sulle conseguenze economiche dei cambiamenti climatici, e descrive i cambiamenti ora in corso nell' atmosfera terrestre come "il più grande e la più ampia gamma di fallimento del mercato mai visto." "Il progresso umano ora dipende da una trasformazione economica che è più profonda rispetto a qualsiasi cosa vista nel secolo scorso", afferma il presidente Worldwatch Christopher Flavin. "Dobbiamo praticare un approccio sostenibile per l'economia che sfrutta la capacità dei mercati di allocare risorse scarse, mentre lo stesso esplicitamente riconosce che la nostra economia dipende dal più ampio ecosistema che lo contiene.
"Organizzazione Mondiale 2008" e' una guida all'azione ambientale globale; per una fonte di ulteriori informazioni conviene acquistare una copia di "stato del mondo 2008" con informazioni aggiuntive del Worldwatch Institute Le questioni ambientali sono sempre state considerate come una volta irrilevante per l'attività economica, ma oggi sono drammaticamente da riscrivere le regole per le imprese, investitori e consumatori. In tutto il mondo, risposte innovative ai cambiamenti climatici e ad altri problemi ambientali che interessano comportano più di 100 miliardi di euro nell' annuale flusso di capitali ed evidenziano una serie di innovazioni economiche, che offrono nuove opportunità di prosperità a lungo termine. Per esempio: Nel 2006, secondo le stime, $ 52 miliardi sono stati investiti per l'energia eolica, biocarburanti, e le altre fonti di energia rinnovabili, fino 33 per cento dal 2005. Stime preliminari indicano che le cifre aumentato vertiginosamente verso l' alto come $ 66 miliardi di euro nel 2007. Le energie rinnovabili sono in crescita ancora più esplosiva, secondo le stime arrivano fino a $ 30 miliardi di euro nel 2006, quasi il triplo l'importo di scambi nel 2005. Imprese innovative stanno rivoluzionando la produzione industriale ma anche per risparmiare denaro: per esempio, il gigante chimico DuPont deve ridurre le sue emissioni di gas serra del 72 per cento al di sotto del livello del1991 nel 2007, iper un risparmio $ 3 miliardi di euro nel processo. Declino ambientale e persistente povertà di massa suggeriscono che il modello dominante per le economie di tutto il mondo è in crisi. Le alternative sono controllate dalle imprese -come al solito- in grado di orientare la maggior parte delle economie su sentieri sostenibili.
Una nuova linea di fondo per il progresso, sostiene Giovanni Talberth, ridefinendo i progressi PIL, riguarda una parte importante,non uno-dimensionale, dell'economia me della storia. Ma non è solo la storia la parte fondamentale. Parametri che meglio misura le cose che le persone più valore, e non contano inquinamento e altri "mali" come attività, vengono analizzati in questo capitolo.
Occorre ripensare la produzione con moderni sistemi di produzione specializzati in grandi volumi, del resto produzione di rifiuti tossici e di prodotti derivati e' massiccia. "Più è meglio"-il moderno mantra economico è sotto attacco come gli aspetti ambientali, economici, personali e negativi del consumismo diventano evidenti. Sovraccarichi, e indebitati, i consumatori sono sempre più aperti a concentrarsi sulla qualità della vita, piuttosto che su "più cose".
Il consumo di pesce e di carne è in rapida crescita in tutto il mondo, ma la produzione di questi animali in grandi operazioni genera enormi problemi sanitari e ambientali. Modi alternativi di soddisfare la domanda di carne e di pesce può proteggere l'ambiente ed i piccoli agricoltori. Occorre la costruzione di un basso tenore di carbonio per evitare il deposito della Terra in un clima pericoloso galoppante modalità di riscaldamento, le emissioni globali di carbonio deve essere ridotto di oltre l'80 per cento entro il 2050. Miglioramento della produttività energetica, diffusione delle tecnologie di energia rinnovabile, e governi illuminati nelle politiche energetiche sono fondamentali per raggiungere questo obiettivo.
Un mondo a soffocamento di carbonio comprende sempre più che le misure di riduzione nazionali e personali di carbonio sono non rinviabili. L'acqua può essere la risorsa fondamentale, la sfida di questo secolo, con gli agricoltori, delle città e l'ambiente naturale sostenendo tutte le parti di una riduzione delconsuimo. Ma i meccanismi di mercato ed una regolamentazione illuminata in grado di fornire acqua a tutti gli aventi diritto,puo' esserci in quanto si riducono i rifiuti e si proteggono gli ecosistemi acquatici.
Nonostante la diffusione dei parchi nazionali ed aree protette, le specie declino e la distruzione degli ecosistemi prosegue a ritmo incalzante. Ma i meccanismi di mercato (come ad esempio il pagamento per i servizi ecosistemici), una volta collegati a obiettivi di conservazione, in grado di proteggere il capitale naturale, pur fornendo regolamentato accesso a importanti risorse economiche possono essere costruiti.
L'accesso incontrollato distrugge risorse come la pesca e l'atmosfera.
Erik Assadourian, Worldwatch Institute Disempowered, sostengono che le decisioni economiche fatte lontano stanno scoprendo che la costruzione di economie locali e le comunità sostenibili offrono valide alternative alla globalizzazione.
Miliardi in aiuti sono stati spesi nel corso dei decenni a economie in via di sviluppo, spesso con scarso effetto spaventosamente. Una elemento chiave mancante è stato lo scarso contributo dalla base, che avrebbe consentito alla popolazione locale di reclamare la proprietà del loro sviluppo futuro.
Attività di finanziamento a tutti i livelli di capitale di rischio, investimento socialmente responsabile, e microfinanza- sono in fase di esame per i loro potenziali contributi alla costruzione di economie sostenibili.
Occorrono nuovi approcci per la governance del commercio L'obiettivo dovrebbe essere sostenibile ed equo lo sviluppo economico, un fine che non può sempre essere conseguito se c'e' una cieca adesione alla dottrina del libero scambio . Riforme dell'OMC e del più ampio sistema commerciale globale potrebbero contribuire a promuovere l'attività economica sostenibile."



















martedì 15 luglio 2008

energia solare al posto del fossile

dal BLOG: GRUNCHGEAR vai ai post in fondo per leggerlo!

Today Sharp Japan [JP], the city of Sakai and Kansai Electric Power [JP] announced [JP] the so-called “Sakai City Waterfront Mega Solar Power Generation Plan”. Under the initiative, two mega solar power generation plants are to be built in Sakai (near Osaka) by 2010.

One facility will have an output of 10,000 kW, while the second plant is planned to produce 28,000 kW. The complex will be one of the largest of its kind in the world. Sharp and Kansai Electric claim when the plan is realized, the solar facilities will reduce carbon dioxide emissions by 10,000 tons yearly.

The solar energy will be used for factories Sharp and other companies operate in Sakai. The city is planning to become one of Japan’s leading “green” cities.

Rifkin: "ma non e' l'atomo la risposta al caro greggio".

da La Repubblica del 14/7/2008 di Gianluca Sigiani

Rifkin: "ma non e' l'atomo la risposta al caro greggio".


Ci sono a ncora incognite per le scorie e la fuoriuscita di materiale radioattivo.
Ora si parla di energia nucleare come soluzione all'irresistibile ascesa dei prezzi petroliferi, ma secondo me dovrebbe essere l'occasione buona per ripensare per intero il problema del nostro sviluppo, e renderlo finalmente più sostenibile». Jeremy Rifkin, conomista e scrittore statunitense, ma soprattutto negli ultimi tempi attivista del movimento per lo sviluppo sostenibile, è venuto in Italia per lanciare un monito: la sostenibilità è il vero marchio del futuro. Anche nei settori più impensati: la sostenibilità applicata al marketing e al procurement (gli approvvigionamenti aziendali), per esempio, sarà uno dei principali modelli di business per le imprese di oggi e di domani». L'occasione è il secondo incontro By Innovation Day tenutosi nella sede della Borsa qui a Milano, voluto ed organizzato da Enrico Rainero , partners, editore e operatore di marketing e comunicazione. Rifkin, fondatore della Foundation on Economic trends, quest'anno è stato l'ospite d'onore, in veste di testimonial e sostenitore attivo di questo messaggio, che si applica anche ad un'iniziativa che intende promuovere concretamente il contatto e lo scambio virtuoso fra uffici acquisti e reparti
•vendita in tema di tecnologie innovative e sostenibili.
Un'idea semplice ma strategica, che le organizzazioni incontratesi a Palazzo Mezzanotte (Adaci, Consip, Federmanagement, Ibm, Centro Ricerche Fiat, 3M, Bitolea e tante altre)
hanno voluto sancire con un Patto per il Business Sostenibile che dovrà portare all'ottimizzazione dei flussi commerciali e di tutta la supply chain per il maggior numero possibile di aziende. Insomma, come dice Rifkin, le imprese devono collaborare sul terreno dell'acquisto intelligente e sostenibile per migliorare la qualità dei propri processi e favorire una produzione sempre più avanzata e socialmente responsabile. Ma con Rifkin non si può non parlare anche di nucleare.
Lei ha saputo dell'incidente di Krsko in Slovenia, a pochi chilometri dall'Italia di qualche settimana fa? Che idea si è fatto?
«Ho parlato con persone che hanno conoscenza di prima mano dell'incidente, e mi hanno tranquillizzato. Non ci sono state fughe radioattive e il governo ha gestito bene tutta la vicenda. Qualche tempo fa, mi è capitato di lavorare proprio con l'amministrazione locale e posso dire che hanno sempre dimostrato una leadership illuminata nel traghettare la Slovenia verso le energie rinnovabili. Non posso dire lo stesso di tutti i paesi europei, ma posso lodare le politiche energetiche di Ljubljana. Il problema con il nucleare e che si tratta di un'energia con basse probabilità di incidente, ma ad alto rischio. Ovvero: non succede quasi mai niente di brutto, ma se qualcosa va storto può essere una catastrofe. Come Chernobyl. Non si può non tenerne conto».

Oltre alla sicurezza intrinseca degli impianti, che a quanto lei ci dice è in parte ancora da verificare, quali altri problemi vede nello sviluppo dell'energia nucleare?
«Sicuramente quello
che non sappiamo ancora come trasportare e steccare le scorie. Gli Statì Uniti hanno straordinari scienziati e hanno investito 8 miliardi di dollari in 18 anni per stoccare i residui all'interno delle montagne Yucca dove avrebbero dovuto restare al sicuro per quasi 10 mila anni. Bene, hanno già cominciato a contaminare l'area nonostante i calcoli, i fondi e i super-ingegneri. Davvero l'Italia crede di poter far meglio di noi? L'esperienza di Napoli non autorizza troppo ottimismo. E questa volta i rifiuti sarebbero nucleari, con conseguenze inimmaginabili. Non è finita. Secondo me si porrà presto, se il nucleare riprenderà ad espandersi, un problema di combustibile. Stiamo qui ad osservare terrorizzati la fine dell 'era del petrolio, mentre stando agli studi dell'agenzia internazionale per l'energia atomica anche l'uranio comincerà a scarseggiare già dal 2025-2035. Esattamente come il petrolio sta per raggiungere il suo picco produttivo. E quindi, come per il petrolio, i prezzi sono destinati a schizzare presto all'insù. Ciò si ripercuoterà sui costi per produrre energia togliendo ulteriori argomenti a questo progetto. Aggiungo un altro punto ancora: c'è chi dice che si potrebbe puntare sul plutonio. Ma io ricordo loro che con quello è più facile costruire bombe. E in questo momento il presidente americano George Bush e molti altri governanti fanno un gran parlare dei rischi dell'atomica in mani nemiche, e minacciano apertamente l'Iran se questo porterà avanti il suo programma nucleare».
Nel suo libro "La creazione del Worldwide Energy Web e la redistribuzione del potere sulla Terra" lei propugna la creazione di una sorta di rete dell'energia planetaria. Abbiamo capito bene?

«Io dico che visto gli avanzamenti tecnologici i tempi sono maturi per la creazione di un grande network fra i principali paesi democratici dove si riesca a stoccare energia di riserva, utilizzando per esempio le potenzialità ancora inespresse dell'idrogeno, e poi a distribuirla fra chi ne ha bisogno. A questa rete, è la vera innovazione, dovrebbero contribuire tutti: dai grandi produttori nazionali fino ai piccoli e piccolissimi produttori di energia, in tutti i modi possibili, territoriali e locali. Sarebbe una nuova rivoluzione industriale, una sinergia fra tecnologie di rete e sfruttamento delle risorse energetiche , pari a quella che e' stata per esempio la diffusione dei mezzi9 di comunicazione e di informazione, dai primi telegrafi fino a Internet per la società globale».

martedì 8 luglio 2008

Brasile: Le perversioni dell'agrobusiness per la società brasiliana

dal sito, clicca sul logo per l'articolo intero


21 febbraio 2006 - Segreteria Nazionale del MST,


Cari amici e amiche del MST.

In questa edizione speciale discuteremo di agrobusiness. Ci siamo un po' dilungati nella discussione, ma solo perchè crediamo sia necessario spiegare la nostra posizione e le ragioni che ci portano ad essere radicalmente contrari a queste pratiche nelle campagne brasiliane.

- Cos'è l' agrobusiness?

la parola ha un significato generico riferendosi a tutte le attivitò commerciali relative a prodotti agricoli. Quando un piccolo agricoltore vende un prodotto al mercato sta praticando l'agrobusiness. Quando uno che ha un banco al mercato vende frutta e verdura sta praticando l' agrobusiness. Questa è l'essenza del significato della parola, usata a livello internazionale.

Tuttavia qui in Brasile quest'espressione è stata utilizzata dai fazendeiros, dagli intellettuali delle università e soprattutto dalla stampa, per designare una caratteristica della produzione in ambiente rurale. Hanno definito agrobusiness quelle fazendas moderne che utilizzano grandi estensioni di terra e si dedicano alla monocultura. Ossia che si specializzano in un solo prodotto, utilizzano alta tecnologia, meccanizzazione - a volte irrigazione - poca manodopera e per questo parlano con orgoglio del fatto che ottengono un'alta produttività del lavoro. Tutto basato sui bassi salari, l'uso intensivo di agrotossici e di semi transgenici. Nella maggior parte dei casi, la produzione è per l'esportazione. In special modo, canna da zucchero, caffè, cotone, soia, arancia, cacao, oltre all'allevamento intensivo. Questo tipo di fazenda è chiamato agrobusiness.
Ma cosa c'è di nuovo? Niente. Se studiamo con attenzione, è lo stesso tipo di modo di produzione che è stato utilizzato nel periodo della Colonia, ai tempi del modello agroesportatore. Si è passati soltanto dal lavoratore schiavizzato a quello salariato e le tecniche sono diventate moderne. E i nostri salari in questo settore, secondo alcuni studi, sono minori rispetto alle remunerazioni dell'industria, del commercio e delle fazendas dei paesi sviluppati o concorrenti, Molti studiosi brasiliani affermano che non sono il nostro clima e la nostra sapienza agricola i vantaggi comparativi che hanno i fazendeiros brasiliani, ma la mancanza di rispetto dei loro dipendenti e di controllo da parte del governo in relazione all'aggressione che esercitano nei confronti dell'ambiente, senza nessuna responsabilità rispetto alle generazioni future. Ci sono per esempio moltissime denunce di agronomi e scienziati sui danni che l'introduzione della soia sta facendo sui biomi del cerrado e della regione pre-amazzonica.

La falsa propaganda dell'agrobusiness e la sua alleanza di classe:
Negli ultimi anni, i mezzi di comunicazione brasiliani, in particolare i grandi giornali e le televisioni hanno fatto una propaganda sistematica in favore del modello dell'agrobusiness, come se fosse la salvezza del Brasile. Lo presentano come il protagonista della crescita della nostra economia, della creazione di posti di lavoro, di un'agricoltura moderna e della produzione di alimenti.

Tutti questi argomenti utilizzati nella propaganda non possono essere sostenuti con un'analisi più rigorosa:

- L'agrobusiness è responsabile della crescita economica del PIB: le attività agricole propriamente dette, coltivazione e allevamento, corrispondono appena al 12% di tutta la produzione nazionale. Quindi, anche se l'agricoltura raddoppia il valore o il volume della produzione, la sua influenza nell'economia totale è molto piccola. I propagandisti dell'agrobusines sono soliti mischiare agricoltura e agroindustria per dire che il peso nell'economia aumenta al 37%. Anche così, il peso e la crescita dell'agroindustria non dipendono dall'area coltivata, ma dal mercato consumatore. Se il popolo della città avrà soldi per comprare più alimenti aumenterà l'agroindustria in Brasile. Quindi, il suo successo dipende dal valore del salario minimo e dalla distribuzione del reddito nei centri urbani.

- L' agrobusiness è responsabile del successo dell'industria: niente di più fantasioso. Alla fine degli anni 70 e all'inizio degli anni 80, all'apice dell'agricoltura subordinata all'industria e con facile credito per espandere l'industrializzazione delle colture, venivano venduti circa 65.000 trattori all'anno, di tutti i tipi. Sono passati 30 anni, si è impiantato l'agrobusiness del neoliberismo e la vendita di macchine nel 2004, all'apice del successo strombazzato, è stata di appena 37.000 unità. Le industrie hanno dovuto vendere altre 35.000 unità all'estero per non fallire. Attraverso gli ultimi dati dell'IBGE (Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica), veniamo a sapere che le fazendas con più di 2000 ettari possiedono solo 35.000 trattori. Le piccole proprietà inferiori a 200 ettari, invece, possiedono più di 500.000 trattori.

- L'agrobusiness domina l'agicoltura brasiliana: se l'agrobusiness fosse così buono, perchè non cresce l'area coltivata in Brasile? Dagli anni 80, l'area totale coltivata con coltivazioni temporanee non supera i 45 milioni di ettari

- L'agrobusiness è l'attività che genera lavoro nelle campagne: secondo i dati dell' IBGE, nelle fazendas al di sopra dei 2.000 ettari ci sono soltanto 350.000 lavoratari salariati. Ben meno dei 900.000 salariati che impiega la piccola proprietà. Ossia, il modo di produrre della fazenda dell'agrobusiness, che si modernizza permanentemente, espelle manodopera dalle campagne, invece di generare lavoro.

- L'agrobusiness distribuisce reddito nelle campagne: la schiavitù nelle campagne continua e i profitti vengono incassati dai proprietari delle fazendas.

- L'agrobusiness significa sviluppo dei comuni e delle economie locali: in tutte le regioni nelle quali predominano le aziende dell'agrobusiness, il reddito dei latifondi è portato verso i grandi centri. Sia perchè la maggior parte dei suoi costi di produzione (macchine, veleni, semi) viene da altri centri e quindi, nel pagare questi costi, il denaro torna verso di essi, sia perchè il proprietario raramente vive nella città in cui è situata la fazenda. In genere abita in una grande città e quindi quando ottiene il suo profitto con le esportazioni lo utilizza per consumi di lusso, appartamenti ecc. Perfino il cibo per i suoi dipendenti non proviene da acquisti fatti nel luogo della fazenda poichè gli acquisti vengono in genere fatti in centri lontani dove i prezzi sono più bassi. Per questo le città dominate dall'agrobusiness, invece di svilupparsi, soffrono della malattia provocata dall'esodo rurale, mentre la povertà delle loro periferie cresce. Lo scenario è completamente diverso da quello dei luoghi in cui predominano diversi tipi di coltivazioni, produzione di alimenti e piccola agricoltura, che fa restare e girare tutta la ricchezza nello stesso comune in cui opera.
Se queste informazioni sono ufficiali e, di fatto, le fazendas dell'agrobusiness non rappresentano una soluzione per i problemi agricoli e sociali brasiliani, perchè allora si fa tanta propaganda? Per una questione ideologica. E' in corso nella società brasiliana una disputa di modello economico e di produzione agricola. Le fazendas dell'agrobusiness rappresentano la parte della borghesia nazionale che possiede beni in agricoltura e che si è alleata, o meglio, che si è subordinata al capitale straniero, rappresentato dagli interessi delle grandi imprese transnazionali. Queste imprese, non solo partecipano del profitto ottenuto dal commercio agricolo internazionale e dalle agroindustrie, ma mantengono anche forti lacci economici e ideologici con le imprese di comunicazione di massa. Esiste una triplice alleanza tra i fazendeiros dell'agrobusiness, le imprese transnazionali che controllano l'agricoltura e le imprese di comunicazione.

Solo 10 transnazionali hanno il controllo monopolistico delle principali attività agricole del paese. Sono: Bunge, Cargill, Monsanto, Nestlé, Danone, Basf, ADM, Bayer, Sygenta e Norvartis. Basta guardare le loro pubblicità alla televisione e vedere il loro grado di coinvolgimento con i media.
III. Le influenze dell'agrobusiness nel governo Lula
Il governo Lula è stato eletto nell'ottobre del 2002 con la pubblicizazzione di una serie di impegni, chiaramente contrari al mantenimento della politica economica neoliberista, opposti alla priorità data dal governo Cardoso all'agrobusiness. Tutti quelli che hanno votato per Lula volevano cambiamenti. In caso contrario avrebbero votato per José Serra.

Tuttavia, superate le elezioni, il governo Lula si è rivelato un governo ambiguo, che nonostante avesse promesso cambiamenti, si è basato su alleanze di partiti e di classe che sostengono ancora il neoliberismo, divenendo ostaggio del capitale finanziario internazionale. Nella politica economica, amministrata dal Ministero dell'Economia e dalla Banca Centrale, ha mantenuto la linea precedente, con responsabili chiaramente identificati con il partito che è stato sconfitto. Al Ministero dell'Industria e Commercio, che si occupa delle esportazioni (ma potrebbe occuparsi del mercato interno) e al Ministero dell'Agricoltura, sono stati nominati ministri che si identificano con il modello dell'agrobusiness. Il ministro Luiz Fernando Furlan è socio della "Sadia" e il ministro Roberto Rodrigues possiede aziende a Ribeirão Preto e nel sud del Maranhão, che si dedicano all'agrobusiness della soia, della canna e delle arance.
Nella politica relativa al settore dell'agricoltura pubblica, il governo non è riuscito ancora a cambiare l'atteggiamento di rinuncia dello Stato. Nel credito rurale, c'è stato uno sforzo del governo per creare l'assicurazione agricola, che interessa soprattutto i piccoli agricoltori. C'è stato uno sforzo anche per aumentare le risorse del credito destinate all'agricoltura familiare, attraverso il Pronaf (sono passate da 2 miliardi a 5 miliardi di reais). Ma questo non significa cambiamenti nella struttura fondiaria. Le risorse pubbliche che sono destinate dalla Banca del Brasile e dalla BNDES alle aziende che si dedicano all'esportazione non sono state ridotte. La stessa Banca del Brasile ha fatto propaganda su giornali e riviste, mostrando che ha concesso un volume di credito di più di 5 miliardi di reais a quelle dieci imprese transnazionali che controllano l'agricoltura e ad alcune poche imprese transnazionali di cellulosa. Ossia, meno di 15 imprese hanno ricevuto lo stesso volume di risorse destinate a 4 milioni di agricoltori familiari.

In questo modo, nonostante il governo si sia impegnato per la Riforma Agraria e per il rafforzamento dell'agricoltura contadina, in pratica i Ministeri più forti agiscono chiaramente mettendo al primo posto l'agricoltura dell'agrobusiness, la monocultura e l'esportazione di cereali.

IV. Il peso dell'agrobusiness nella nostra società.
Tecnici e studiosi del Ministero dello Sviluppo Agrario, dell'Incra, dell'Ipea (Istito di ricerca economica applicata), degli organismi del governo e legati a diverse università hanno preparato nel 2003 il Piano Nazionale di Riforma Agraria. Sono stati utilizzati gli ultimi dati statistici ufficiali raccolti dall'IBGE, nel censimento agrozootecnico del 1996 e nel catasto dell'Incra del 2003. A partire da loro, il professor Ariovaldo Umbelino Oliveira, della USP (Universidade de São Paulo), ha organizzato la seguente tabella di camparazione:

Produzione animale

indicatori Piccola/familiare Media proprietà Grande/agrobusiness
Animali grandi 46% 37% 17%
Animali medi 86% 13% 1%
Animali piccoli/uccelli 85% 14% 1%


2.Produzione agricola totale - prodotti per l'esportazione

indicatori Piccola/familiare Media proprietà Grande/agrobusiness
cotone 55% 30% 15%
cacao 75% 24% 1%
Canna da zucch. 20% 47% 33%
arance 51% 38% 11%
soia 34% 44% 22%
caffè 70% 28% 2%
3. Prodotti del mercato interno e alimentari

indicatori Piccola/familiare Media proprietà Grande/agrobusiness
Cotone arboreo 76% 20% 4%
riso 39% 43% 18%
banane 85% 14% 18%
Patate inglesi 74% 21% 5%
fagioli 78% 17% 5%
tabacco 99% 1% 0
mamao 60% 35% 5%
mandioca 92% 8% 0
mais 55% 35% 10%
pomodori 76%% 19% 5%
grano 61% 35% 4%
uva 97% 3% 0


V. Sulla rinegoziazione dei debiti dei latifondisti nel Nordest.
I privilegiati di sempre, fanno di tutto per mantenere le cose come stanno. In questa settimana vogliono che i loro debiti siano perchè il tesoro nazionale paghi. I latifondisti del nordest chiedono 7 miliardi di reais alla casse pubbliche. Con questo denaro, soltanto 30.000 medi e grandi fazendeiros saranno beneficiati. I 4 milioni di contadini e contadine nordestine non saranno beneficiati.
In tutto il paese, i debiti anteriori al 1995 dei produttori rurali legati all'agrobusiness arrivano a 26 miliardi di reais. Sono già stati rinegoziati nel 1995, quando tutti i debitori medi e grandi con debiti di 200.000 reais hanno avuto tempi di pagamento allungati e tassi minori. Quelli che avevano debiti sopra i 200.000 reais sono entrati nel Programma Speciale di Risanamento dell'Attivo (PESA), creato dalla legge 9.318.
Nel 1998, quando è scaduto il tempo per l'inizio del pagamento dei debiti dei ruralisti che hanno optato per la securitizzazione, il governo federale ha autorizzato altri due anni di dilazione e nuovi tassi di interesse, al di là del beneficiare i fazendeiros con il PESA. Si è permesso il pagamento di almeno il 32,5% della quota iniziale entro il 31 ottobre del 2001 e il resto è stato imcorporato nel saldo da pagare in quote annuali entro il 2025. L'inadempienza arriva al 90%. Tra i piccoli produttori e gli insediati i ritardi nei pagamenti sono inferiori al 2%.
Con questo denaro sarebbe possibile risolvere i problemi dei poveri delle campagne. Tuttavia, con il popolo brasiliano che paga i debiti dei fazendeiros e senza produrre per la nazione, l'agrobusiness esce ancora una volta guadagnando. La camera e il senato hanno già approvato la rinegoziaziane per i latifondisti nordestini, ma speriamo che il presidente Lula vieti il proseguimento di questa manovra.

VI. Il dibattito negli ambienti accademici e nei giornali:
Il potere di influenza dell'agrobusiness è talmente grande che colpisce anche gli intellettuali e i giornalisti, che riproducono la lotta ideologica negli ambienti universitari e nella stampa. E' frequente vedere articoli e servizi giornalistici che cantano in prosa e in versi le bellezze dell'agrobusiness. Alcuni intellettuali, anche originariamente di sinistra, sostengono che la via d'uscita per la piccola agricoltura sarebbe entrare nell'agrobusiness. Alcuni sindacalisti hanno copiato male questa idea e sono arrivati a parlare di "piccolo agrobusiness". Non capiscono che, in realtà, c'è uno scontro tra i due modi di organizzare la produzione agricola nella nostra società. Il modo dell'agrobusiness, che abbiamo già descritto, e dall'altro lato l'agricoltura contadina, basata su imprese agricole familiari, più piccole, che si dedicano alla produzione di vari prodotti, di alimenti, danno lavoro a migliaia di persone, della famiglia e esterne ad essa, che producono e sviluppano il mercato locale e interno.

Alcuni arrivano a sostenere che è possibile la convivenza di due modelli. Si tratta solo di una forma implicita di sostegno all'agrobusiness. E' chiaro che ci saranno sempre unità di produzione maggiori e che si dedicano all'esportazione. E' necessario identificare che tipo di priorità e di politica agricola il governo e la società sostengono.

La nostra società userà la terra e l'agricoltura per produrre alimenti, distribuire il reddito e legare l'uomo al territorio o affiderà le terre alle grandi aziende, che espelleranno la popolazione, guadagneranno molti soldi e daranno priorità alle esportazioni?
Questa è la vera disputa. Sono due progetti di agricoltura per il Brasile. Per questa ragione, i rappresentanti dell'agrobusiness attaccano tanto la riforma agraria. Apparentemente non c'è relazione. Se l'agrobusiness possiede aziende produttive, sono al sicuro dall'esproprio. Quindi perchè l'agrobusiness attacca la Riforma Agraria anche attraverso i ministri dell'Agricoltura e dell'Economia ?
Per due ragioni: primo perchè loro sanno che la Riforma Agraria rafforza il modello contrario di occupazione della terra e di produzione agricola. In secondo luogo, perchè loro sono proprietari anche di latifondi improduttivi, che invece di essere condivisi per sostenere una funzione sociale, creare lavoro, distribuire reddito e migliorare le condizioni di vita del nostro popolo, vengono conservati come una specie di riserva di valore, per la speculazione o per la futura espansione delle loro fazendas.

Quindi, non è possibile fare convivere i due modelli. Essi potranno convivere per molto tempo, ma dal punto di vista della proposta per la nostra società bisogna decidersi: o si sostiene l'agrobusiness o si sostiene l'agricoltura contadina, il permanere del lavoratore nel campo e la sovranità alimentare. Definirsi attraverso il modo di produzione dell'agrobusiness è accettare anche il modello economico neoliberista dominato dalle banche, dal capitale finanziario e dalle transnazionali. Come dice il detto popolare non si può "accendere una candela per Dio e l'altra per il diavolo"



Note:

traduzione di Serena Romagnoli (www.comitatomst.it)

lunedì 7 luglio 2008

Biodiesel e danni alle colture locali

A chi l'Amazzonia? Alle imprese italiane

Andrea Palladinoda il Manifesto2007

Alla distruzione ambientale e sociale della foresta in nome dei biocarburanti contribuisce il governo iktaliano . Un secolo dopo le battaglie di Ermanno Stradelli contro l'industria del caucciùErmanno Stradelli aveva 73 anni quando morì, solo e abbandonato, in un lebbrosario a Manaus, centro dell'amazzonia brasiliana. Era il 1926, e si spegneva uno dei più illuminati etnologi e geografi italiani, dopo 43 anni passati a difendere le culture indigene. Aveva un nemico Stradelli, il caucciù, la più importante commodity del mercato globale a cavallo tra '800 e '900. Manaus e Belem erano cresciute, esplose e poi affondate come capitali mondiali della gomma elastica. Nel 1926 poco era rimasto: l'estrazione del lattice del caucciù, gestita dal capitale internazionale, soprattutto inglese, era stata trasferita in Malesia, dove il costo era ben più basso.

Il governo biotech di Lula
Oggi governa Lula in Brasile, il compagno Lula, cresciuto politicamente tra i sindacati di San Paolo, immerso tra gli ex contadini espulsi dalla terra, approdati nelle città, a popolare le favelas più pericolose del mondo. E il governo del Pt (partito dei lavoratori) ha deciso di rilanciare con forza lo sfruttamento industriale delle risorse naturali del Brasile e dell'Amazzonia. Il caucciù non ha praticamente più mercato, si ottiene per sintesi da tantissimo tempo. Ma ci sono altre commodities, risorse il cui prezzo sta salendo vertiginosamente nel mondo, legate alla follia del biodiesel. Non solo la soia, che ruba terre ai contadini e aggredisce l'Amazzonia sul fronte sud, nel cosiddetto arco della deforestazione. Non solo canna da zucchero, la cui produzione industriale cela spesso il lavoro schiavo, denunciato a gran voce dalla Commissione Pastorale della Terra, in aumento da due anni. L'Amazzonia, secondo il governo biotech di Brasilia, potrà ospitare la coltivazione della palma da olio, il dendê. Spacciata come «ecologicamente sostenibile», è un'oliacea di origine africana, portata in Brasile con la colonizzazione.
Oggi Malesia e Indonesia sono i principali produttori mondiali, ma la foresta nel sudest asiatico si sta riducendo in maniera vertiginosa, soprattutto come conseguenza della coltivazione del dendè. Gli stessi speculatori internazionali delle commodities e dei Cdr (i certificati di emissione del protocollo di Kyoto) sono preoccupati e ritengono che la palma da olio africana non sia poi così verde. E allora il Brasile offre la sua foresta, luogo adatto alla coltivazione per il clima e la presenza d'acqua, indispensabile per rendere le piante produttive.

Una volta era il caucciù
L'Italia non ha più un Ermanno Stradelli che nel 1884 scriveva sui bollettini della Società geografica italiana, denunciando come la lavorazione del caucciù fosse un «crimine contro l'umanità» e spiegando come le popolazioni indigene erano le prime a subire le conseguenze dell'arrivo in massa di contadini senza terra dal nordest, a caccia di improbabili - per loro - ricchezze, e che finivano schiavi nelle fazendas sostenute dal capitale inglese. Il posto del geografo, etnologo e umanista è stato preso dai prosaici imprenditori del nostro nordest, che, capitanati dalla San Marco Petroli di Porto Marghera, si sono presentati a Manaus chiedendo e ottenendo 80.000 ettari nella foresta amazzonica, da destinare al ricco business del biodiesel derivato dalla palma africana.
Mentre il presidente del Consiglio Prodi firmava a Brasilia l'accordo sul biodiesel con Lula, la delegazione della San Marco Petroli incontrava la Embrapa (agenzia brasiliana per l'agrobusiness), la segreteria di stato dell'Amazonas per l'agricoltura, l'agenzia per lo sviluppo dello stato di Amazonas (Idam) ; i petrolieri italiani venivano accompagnati a visitare le terre, le serre con i semi - ibridi - di palma pronti da piantare. Sul tavolo la mappa dell'Amazzonia: il dito puntato sugli obiettivi, su una parte di quelle terre che il governo dell'Amazonas vuole destinare al biodiesel.
La fetta più grande si trova a Tefé, proprio dove Stradelli aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita. A pochi chilometri dalla città c'è una antica coltivazione di dendê, chiusa all'inizio degli anni '90, fallita clamorosamente. Si chiamava Emade, era stata creata negli anni '80 con una partnership pubblico privata. Ancora oggi gli indigeni che abitano le terre che furono occupate dalla palma africana chiedono che qualcuno li risarcisca, anche perché avevano promesso, all'epoca, scuole e ambulatori, mai arrivati. Oggi protestano perché stanno riasfaltando la strada che conduce verso le piantagioni di palma, che taglia la riserva indigena, riconosciuta e omologata nel 1991.
L'esperienza della coltivazione del dendê a Tefé viene ancora studiata dagli antropologi come esempio di agrobusiness ad alto impatto sociale, ambientale ed economico. Priscila Faulhaber Barbosa, antropologa brasiliana, racconta come proprio l'esperienza della Emade sia alla base della disorganizzazione della società tradizionale di Tefé, che ha portato «a una concentrazione finanziaria e a una intensificazione della differenziazione sociale», fattori primari nella distruzione delle culture indigene.
Il biodiesel, dunque, rischia di diventare il nuovo impulso, dopo il caucciù, il legno e la soia (la cui coltivazione è legata al biodiesel) per la conquista economica e predatoria delle foreste brasiliane. Il punto è centrale per valutare correttamente l'illusione del carburante considerato ecologico, di cui l'Unione europea è il primo acquirente nel mondo. Se è vero che le emissioni di CO2 del biodiesel sono inferiori al diesel tradizionale, nel calcolo non vengono considerate le emissioni dovute alla deforestazione, alla meccanizzazione dell'agricoltura, ai processi di produzione e raffinamento. Non solo. Oggi in Brasile si dice che il break-even, la soglia del prezzo del petrolio che renderebbe conveniente il biodiesel è di 60 dollari al barile. In realtà, questo calcolo non prende in considerazione alcuni fattori fondamentali.
La coltivazione della palma africana è sostenuta finanziariamente in Amazzonia dalla stato brasiliano, che vuole conquistare il mercato mondiale del biodiesel. La stessa San Marco Petroli ha deciso di andare in Amazzonia probabilmente perché sa che l'occupazione della foresta avviene praticamente gratis: l'impresa italiana potrà usufruire di forti sconti fiscali e di linee di finanziamento del governo brasiliano e della Banca per lo Sviluppo. Il modello proposto, inoltre, riduce il rischio dell'impresa: non sarà necessario agire direttamente (solo il 40% del raccolto verrà gestito dalla San Marco Petroli), ci penserà lo stato dell'Amazonas ad organizzare i coltivatori locali in cooperative. Tutto bene, dunque? In realtà no. I contadini riceveranno un pezzo di terra, compreranno i semi e avranno come unico acquirente la stessa San Marco Petroli, che deciderà il prezzo secondo l'andamento del mercato internazionale delle commodities. Anche se oggi viene propagandato come un modello equo di lavoro agricolo, si tratta in realtà dello stesso modello - con qualche aggiustamento - del caucciù. Il potere di contrattazione del prezzo da parte dei coltivatori è di fatto nullo. Tutto è deciso altrove. Se l'affare del biodiesel italiano in Amazzonia andrà in porto, sarà solo l'inizio di una nuova onda di invasione e distruzione dell'Amazzonia. Perché è ormai chiaro che colonizzazione, agrobusiness e monocultura sono i principali nemici della foresta. Oggi lo stato di Amazonas può vantarsi di possedere una foresta ancora intatta per il 98%, secondo i dati della segreteria per le politiche agricole. Ma i segnali che arrivano ora che il biodiesel fa gola a tanti sono pessimi. La Suframa - organo federale che amministra la Zona franca di Manaus - lo scrive nero su bianco: «Lo stato di Amazonas possiede l'area più grande del Brasile per la coltivazione del dendê, circa 50 milioni di ettari». Considerando che nel 2006 l'area già deforestata era di 3 milioni di ettari, l'impatto potenziale della coltivazione della palma africana è di 47 milioni di ettari di foresta che rischiamo di perdere nei prossimi anni.

Nella memoria degli indigeni
Oggi di Ermanno Stradelli in Italia rimangono solo qualche scritto nella biblioteca della Società geografica. Nel 2006, qualcuno in Amazzonia ha ricordato gli ottanta anni della sua morte. La sua memoria è però ancora viva tra gli indigeni del Rio Negro e del Rio Solimões, che all'epoca lo chiamavano il «figlio del serpente incantato». Ruppe ogni contatto con l'Italia nel 1901, quando si rese conto che l'interesse del Regno e degli imprenditori di Genova era rivolto allo sfruttamento economico del caucciù e della foresta. Lui, che si era laureato in diritto internazionale con la tesi «Hanno diritto le nazioni civili di appropriarsi delle terre dei Barbari?» nel 1896, che - voce solitaria - aveva denunciato per primo la distruzione delle culture indigene, aveva applicato la tradizione umanista italiana alla sua visione della foresta amazzonica. Oggi un'altra Italia torna in Amazzonia, con intenzioni ben diverse.


il biodiesel conviene? e'sostenibile?

Biodiesel: pro e contro

I vantaggi

Il biodiesel abatte drasticamente l'impatto ambientale, in particolare reduce sensibilmente le emissioni di anidride carbonica, perché la CO2 rilasciata era già presente nell'atmosfera, al contrario di quella proveniente dalla combustione dei derivati del petrolio che viene invece immessa nell'atmosfera sottraendola al sottosuolo.
Con il biodiesel si riduce inoltre del 58% il PM10, del 58% il monossido di carbonio e del 68% i composti aromatici. Del tutto assenti idrocarburi aromatici e zolfo.

Il numero di cetano superiore garantisce prestazioni ottimali e una migliore efficienza del motore.
Essendo ottenuto da componenti organici naturali, il biodiesel è completamente biodegradabile e non è tossico.
Nei motori di produzione recente, il biodiesel può essere utilizzato senza problemi anche in purezza, mentre concentrazioni fino al 30% sono tollerate anche dai motori più vecchi.


Gli svantaggi

Come sempre accade per quanto concerne i combustibili derivanti da coltivazioni agricole, la preoccupazione più tangibile riguardo al biodiesel è che i benefici sull'impatto ambientale derivanti dal mancato uso di combustibili fossili vengano azzerati in fase di produzione dei vegetali necessari all'ottenimento del biocarburante stesso. La produzione di biodiesel è in forte ascesa, e il suo prezzo sul mercato è ancora piuttosto alto; per questo molte nazioni stanno ampliando le coltivazioni legate al biodiesel, specie quelle di palma da olio, la pianta che offre il rendimento più alto. Ciò può però andare a discapito degli habitat naturali e delle foreste, con conseguenze drammatiche e imprevedibili sugli equilibri naturali e sulle specie animali.
Inoltre il biodiesel produce maggiori emissioni di ossidi di azoto rispetto al gasolio; questi si formano per via delle alte temperature d'esercizio del motore, e il maggiore numero di cetano (l'indicatore del comportamento in fase di accensione) assieme al più elevato contenuto di ossigeno potrebbero essere la causa dell'aumento del 20% circa che si registra con il biodiesel.
Infine, il biodiesel si trasforma in gel alle basse temperature, cosa che ne richiede l'uso assieme ad additivi o con percentuali di gasolio nei paesi in cui la temperatura scende sotto lo zero nei mesi freddi.

Giovedì Giugno 7

geni per energia


dal sito eco-blog.it

Dopo le impennate dei prezzi delle materie prime alimentari (grano, riso,mais) gli scienziati si stanno orientando verso una ricerca che consenta una produzione di biocarburanti che non vadano ad intaccare né cereali, né il sistema agricoltura. E anche se gli Stati Uniti usassero tutta la produzione annuale di mais per produrre etanolo se ne produrrebbe appena il 15% della fornitura necessaria.Il principale ostacolo a rendere redditizio l’etanolo da cellulosa è che questa deve essere prima divisa in zuccheri che possono essere poi fermentati in alcoli. E per fare questo si usano batteri e funghi. Batteri, in questo caso geneticamente modificati. Ma rimane un processo costoso. L’idea è quella di mettere il gene che trasforma lo zucchero in alcol direttamente nella pianta, modificandola geneticamente, saltando così il passaggio della fermentazione con i batteri modificati. Dunque la pianta mangerebbe se stessa? Non proprio. Difatti gli enzimi si trovano in un compartimento cellulare lontano dalle pareti. E sull’onda di questi studi è stato sviluppato un mais transgenico “Spartan III” che produce gli enzimi della digestione dello zucchero da solo. L’esperimento è proseguito con le piante del riso e già si ha il vantaggio che occorre molto meno energia per produrre l’etanolo. Ovviamente questo gene potrebbe essere devastante per le altre colture per cui lo si sta innestando nel DNA dei cloroplasti, anziché nell’impianto nucleare per impedire appunto che il polline possa disperdere i geni modificati attraverso le impollinazioni.

COMMENTO

caiofabricius

20 mag 2008 - 20:47 -

L’eliminazione delle paglie e dei residui vegetali riduce comunque gli indispensabili apporti di sostanza organica, chiave di volta della fertilità dei suoli e di antchi e delicati equilibri biologici, fortemente a rischio con pratiche di coltivazione intensive ed industriali, al limite del rapinoso. Non a caso all’estero non si di dice agricoltura biologica ma ORGANICA.

biodiesel : tentativi per risparmio produttivo


Il biodiesel dalle piante non conviene

Si usa più energia di quella poi generata

La trasformazione di piante quali il mais, la soia o il girasole in carburante richiede molta più energia di quella generata dall'etanolo o dal biodiesel risultante. Lo sostiene uno studio di ricercatori della Cornell University e dell'Università della California di Berkeley pubblicato sulla rivista "Natural Resources Research" (Vol. 14, No. 1, pp. 65-76).
"Non ci sono benefici energetici nell'uso di biomasse vegetali come combustibili liquidi", afferma l'ecologo David Pimentel. "Si tratta di strategie non sostenibili".
Pimentel e l'ingegnere ambientale Tad W. Patzek hanno analizzato in dettaglio il rapporto fra energia in ingresso e in uscita nella produzione di etanolo da mais, legno ed erba, e nella produzione di biodiesel dalla soia e dalle piante di girasole.
Nel caso della produzione di etanolo, gli autori hanno scoperto che l'utilizzo di mais richiede il 29 per cento di energia fossile più rispetto al carburante prodotto. Questi valori salgono al 45 per cento per l'erba e al 57 per cento per la biomassa di legno.
carburante, e i girasoli addirittura il 118 per cento in più.
Per stimare l'energia in ingresso, i ricercatori hanno considerato fattori quali l'energia usata per far crescere le piante (compresa la produzione di pesticidi e fertilizzanti, l'alimentazione delle macchine agricole e dei sistemi di irrigazione, e il trasporto) e per fermentare e distillare l'etanolo. Nell'analisi non sono stati inseriti costi aggiuntivi come quelli associati con tasse e sussidi statali e quelli relativi all'inquinamento e al degrado ambientale.
"In futuro avremo bisogno di un sostituto del petrolio, - spiega Pimentel - ma la produzione di etanolo o di biodiesel dalle biomasse vegetali non sembra essere la strada giusta".
Fonte: Le Scienze (13/07/2005)

venerdì 4 luglio 2008

biocarburanti da alghe




dal sito http://www.socialforge.net/bioraffineria per chi vuole documentarsi sul biocarburante da alghe

Premessa :
Molti oli vegetali possono essere usati in sostituzione del gasolio come carburante in motori diesel.
Molto sommariamente le possibilità di uso sono due:
1. olio trasformato in "biodiesel" tramite il processo chimico della esterificazione, usabile in modo diretto in tutti i motori diesel. Nel processo di produzione/consumo, vi è alta complessita e maggiori costi a monte (sistema di trasformazione industriale dell'olio) e bassa complessità a valle (uso diretto)
2. olio grezzo usabile in motori diesel in miscela fino al 30% con gasolio o puro al 100%, tramite kit di modifica del motore. Nel processo di produzione/consumo, vi è bassa complessità
e minori costi a monte (sistema di trasformazione semplice) ed alta complessità a valle (uso tramite kit di trasformazione dei motori). In termini di economia di scala è preferibile il primo processo perchè i costi sono molto minori. Per un introduzione generale ai biocarburanti, si può leggere lo studio del Dipartimento di Chimica dell'Università di siena:

http://socialforge.net/docs/ita/eco/biocarburanti/biocarburanti_unisiena.pdf
Esiste un modo di produzione dell'olio "tradizionale" che è quello da piante da semi, ed uno più
innovativo tramite alghe. I motivi della scelta di quest'ultimo verranno illustrati in seguito.
Sia nel caso delle piante da semi che nel caso delle alghe, complessivamente il processo di produzione/consumo dovrebbe essere a bassissimo impatto ambientale e presumibilmente "CO2 free" (emissione zero) in quanto la captazione di CO2 dall'atmosfera, nel corso della fotosintesi clorofilliana delle piante in crescita dovrebbe sopravvalere od equivalere al CO2 emesso in atmosfera dalla combustione nei motori diesel. E inteso quindi che un processo del genere sarebbe quantomeno uno strumento di applicazione pratica del Protocollo di Kyoto sulle emissioni.
Oltre al basso impatto ambientale, il biodiesel ha anche basso impatto sulla salute umana, come si evidenzia in questo studio del Dipartimento di Tossicologia Ambientale della Università della California di Davis: http://journeytoforever.org/biofuel_library/UCDavisSumm.html

Produzione di olio da microalghe

Paola Pedroni di "Eni Tecnologie" come premessa ad uno studio pubblicato nel 2001 scrive: "La possibilità di catturare e riutilizzare la CO2 emessa da sorgenti concentrate mediante coltivazioni intensive di microalghe rappresenta un "opzione innovativa ed ecocompatibile per mitigare le emissioni di gas serra derivanti dalla combustione delle fonti fossili e per produrre biocarburanti rinnovabili. Il raggiungimento di adeguati target di convenienza economica richiede attività di ricerca sia di base che applicata a lungo termine. Combinando la cattura della CO2 fossile con servizi ambientali aggiuntivi, come per esempio il trattamento di acque di scarto, è possibile attendersi l'applicazione di tali sistemi biologici in un arco temporale più breve. Per promuovere lo sviluppo tecnologico e l'utilizzo di processi di biofissazione nella mitigazione delle emissioni di gas serra, EniTecnologie e il DoE statunitense hanno organizzato un Network Internazionale, che opera sotto l'egida dell'IEA GHG R&D Programme, e comprende industrie e organizzazioni governative operanti nel settore energetico. EniTecnologie partecipa attivamente a tale network con una propria attività di ricerca focalizzata sulla Conversione della biomassa algale a vettori energetici rinnovabili".

http://www.enitecnologie.it/pdf_comuni/tpoint/articoli/ft_monitambientale
/microalgaegreenhouse_1_2003.pdf
http://www.socialforge.net/tiki-index.php?page=Microalgae+for+Greenhouse+Gas+Abatement

La scelta delle alghe come vettore di produzione dell'olio è dovuta alla resa oleica che è ipotizzata essere intorno ai 20.000-75.000 litri/anno per acro (4000mq) di coltivazione, contro i 200-500 litri/anno per acro delle piante da semi, come per esempio la colza. La fonte di questi dati è lo studio del Gruppo di lavoro sul Biodiesel del Dipartimento di Fisica dell'Università del New Hampshire (Usa): http://www.unh.edu/p2/biodiesel/article_alge.html Sempre in questo testo si ipotizza anche che qualora si volesse procedere alla sostituzione totale del gasolio con olio vegetale, per coprire l'attuale fabbisogno annuo Usa di carburante per trasporto, dovrebbe essere occupata da impianti di coltivazione di alghe, una superficie di 28.000 kmq, che corrisponde allo 0,3% delle terre degli Usa (NdT una superficie come quella dell'Albania). Con un semplice impianto di coltivazione di microalghe in acqua sembra sia possibile ottenere contemporaneamente:
1. produzione di olio per biocarburanti 2. produzione di fertilizzanti naturali 3. trattamento acque inquinate Questi risultati sono possibili ad un basso livello di complessità dell'impianto, consistente sommariamente - nella forma più semplice - in

1. vasche di coltivazione delle alghe, esposte al sole 2. impianto di spremitura a freddo delle alghe 3. impianto di macinatura degli scarti da spremitura delle alghe

Due impianti pilota con caratteristiche simili sono stati implementati a cura del Kluyvercentre, Olanda (http://www.kluyvercentre.nl/)
http://www.kluyvercentre.nl/content/documents/Verslag3biodieselmaurickcollege.pdf http://www.kluyvercentre.nl/content/documents/Verslag2biodieselBaarnschLyceum.pdf

Con un impianto del genere, localizzato per esempio allo sbocco delle acque reflue in mare, sarebbe possibile - in base agli studi scientifici effettuati - trattare acque di scarto da impianti industriali (metalli pesanti), acque di scarto da coltivazioni agricole a concimazione chimica (i composti azotati sono "cibo" per le alghe che ne velocizzano la crescita) ed acque di scarto da impianti di allevamento bestiame (es. deiezioni di maiali e pollame). Le stesse alghe, arrivate al termine del processo di crescita, verrebbero spremute in loco e come risultato si avrebbe olio vegetale e biomassa di scarto che, oppurtamente triturata, sarebbe usabile come fertilizzante naturale.
Con un maggiore livello di complessità, sarebbe possibile produrre in loco il biodiesel ed anche prodotti nutrizionali, farmaceutici e chimici correlati alla lavorazione di sostanze grasse (glicerina, ecc..).
Riguardo al modello generale che informa questo progetto, sul sito Slashdot c'è un articolo che ipotizza uno scenario plausibile: "Ciò che potenzialmente rende questo ed altri sistemi di bioraffinazione, molto interessanti è che usando bioraffinerie di piccola scala, possiamo an
dare verso un sistema più distribuito è il modello di internet/del web - applicato alla produzione di carburante. (anche appropriato nella futura versione dell' "economia all'idrogeno")".
Andando nello specifico, l'olio - principale ingrediente per il carburante - potrebbe essere prodotto attraverso alghe alotipiche microscopiche (plancton), come il diatom Phaeodactylum tricornutum (Bacillariophyceae) o il Botryococcus braunii BBG-1.
Per poter usare questo biocarburante negli ordinari motori diesel, l'olio deve essere mescolato con l'alcool (ed altri componenti) e trasformato in biodiesel. Qualora si ipotizzi l'esterificazione in loco, potrebbe essere usato l'etanolo prodotto attraverso la fermentazione della canna da zucchero o di altre risorse rinnovabili locali prodotte in aziende agricole integrate nel sito della "bioraffineria". Parte del Co2 prodotto durante il processo di fermentazione verrebbe riciclato dalle alghe per produrre biomassa e olio.
C'è di più. L'integrazione con aziende agricole della zona potrebbe essere anche più complessa. Si potrebbe anche pensare infatti alla bioraffineria come ad un'estensione delle stesse aziende agricole, finalizzata alla produzione decentrata di energia per l'auto-consumo (generatori autonomi per produzione di elettricità, carburante per trattori, ecc..
( I trattori vanno già vanno ad olio di semi! http://met.provincia.fi.it/comunicati
/comunicato.asp?id=22581 ) e per la vendita esterna, alla produzione di concimi ed al trattamento delle acque reflue provenienti dalle aree coltivate e da allevamento di bestiame (così da immettere negli scarichi acque già depurate). Uno scenario del genere (e molto di più!) è ben evidenziato in un articolo del 2004 tratto dalla rivista americana di agricoltura, Delta Farm Press: http://deltafarmpress.com/mag/farming_commodities_future_algae/index.html
"Le alghe potrebbero ben essere la "coltivazione del futuro", dice Mark Zappi, della Università di Stato del Mississippi, professore emerito di ingegneria chimica. "Quasi ovunque nel mondo si stanno diffondendo le coltivazioni dedicate alla produzione di olio" ha detto Zappi alla conferenza sull'agricoltura "Oltre i confini della città" organizzata dal Governatore dello Stato del Mississippi, Haley Barbour. "Abbiamo un clima perfetto ed abbiamo anche lagune inquinate da rifiuti (NdT azotati) per supportare la crescita delle alghe. Le alghe producono olio il doppio ed oltre rispetto alla soia e ci si possono fare prodotti nutrizionali ad alto valore economico."
In Nord - Carolina è stato appena costruito un impianto da 140 milioni di dollari, in cui si fanno crescere le alghe in enormi fermentatori, si estrae l'olio, lo si purifica e lo si vende per essere usato in molte produzioni, compreso il biodiesel. Le sue proteine, gli acidi grassi omega 3, ed altre componenti possono essere usate per fare prodotti nutrizionali. L'impianto impiega 150 persone ad uno stipendio medio di 50,000 dollari (NdT annui). "E' abbastanza redditizio per una comunità locale" dice.
E lo stallatico (NdT le deiezioni del bestiame)? "Credeteci o meno, sta diventando una produzione industriale competitiva," dice sempre Zappi. "Si può mettere lo stallatico, in forma di residui, nei digestori e i microrganismi producono biogas, che è al 60% metano ed al 40% diossido di carbonio, che può essere usato per generare energia elettrica. "L'elettricità può essere utilizzata per alimentare l'impianto e l'eccesso può essere venduto alla compagnia elettrica locale per essere immessa
in rete. Il titolare di un'azienda di pollame nel sud del Mississippi ha messo sù la prima bioraffineria degli Stati Uniti, dice Zappi." Usa le deiezioni del pollame per fare biogas, che genera l'elettricità per alimentare l'impianto e e per riscaldare i pollai. Inoltre, gli elementi solidi e liquidi rilasciati dal processo sono di alto valore nutritivo per il terreno delle coltivazioni agricole. Le deiezioni del pollame sono al 40% proteine ed egli sta pensando alla strada migliore per usarle, forse per far crescere le alghe.
"E' un operazione semplice, una tecnologia pronta per il Mississippi, ed è economicamente sostenibile quando è usata per abbattere i costi energetici delle fattorie."
Queste sono solo due tecnologie correlate all'energia su cui il Mississippi è "ben posizionato per capitalizzarle" dice Zappi. Un'altra è la produzione di etanolo, sia dal granoturco che da biomasse. (a pagina 1 di questo numero della rivista c'è un articolo sulla proposta di costruzione di un impianto di produzione di etanolo nell'area nordovest del Mississippi.)
Il Biodiesel è "facile da fare" dagli oli vegetali o dai grassi animali, dice Zappi, e per ogni 10 galloni di biodiesel, si può produrre 1 gallone di glicerina, "che vale circa due volte il biodiesel." E ancora.. un impianto di biodiesel vicino Las Vegas "produce biodiesel processando tutto l'olio usato di frittura prodotto dall'industria dei casinò."
Il problema dell'olio prodotto dalla soia, dice Zappi, è il suo alto costo di produzione. "Ciò che sta accadendo è che per ridurre il costo si comincia a produrre biodiesel miscelando olio di soia con olii di media qualità."
I ricercatori dell'Università di Stato del Mississippi (MSU) hanno scoperto un microrganismo che vive e lavora a temperature di 200 gradi farheneit e che è capace di raddoppiare la migliore produzione mondiale di etanolo dal syngas (NdT gas di sintesi). "Hanno appena battuto ogni record" dice Zappi.
"I microbiologi dicono non è possibile che un batterio possa sopravvivere a quelle temperature, ma invece lo fa. Pensiamo che in base a questa scoperta, per il processo di produzione dell'etanolo si aprono grandi possibilità." (trad. magius) Documentazione
Su internet i materiali di documentazione sono moltissimi. Qui di seguito ne vengono solo proposti alcuni, tratti da ricerche sul motore di ricerca dedicato ai materiali scientifici, http://govdocs.aquake.org/cgi/content/abstract/2004/915/9150010 Riferimenti " Progetto Bioraffineria
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Italia e biodiesel


Come evidenziato in un recente documento (Settembre 2007) del Governo Italiano, il nostro potenziale produttivo nel settore dei biocombustibili liquidi è modesto. Si stima che a fronte di un consumo di biocarburanti, al 31/12/05, di 0,3 MTOE (1TOE: Tonn of Oil Equiva-lent = 44,7x109 J), il passaggio a 4,2 MTOE previsto al 2020 sarà possibile solo ricorrendo a una importazione di 3,59 MTOE (produzione interna di soli 0,61 MTOE). Il terreno che sarebbe necessario per raggiungere gli obiettivi sarebbe infatti attorno ai 5 Mha, mentre un obiettivo realistico può essere considerato tra gli 0,5 e il milione di ha. L'utilizzo di tecnologie innovative, quali quelle dei biocarburanti di seconda generazione e i biocombustibili liquidi da alghe, rappresenta la sola realistica alternativa a una massiccia importazione di materia prima da Paesi extra-Europei quali America Latina, Africa, India.

Tecnologie di prima generazione Bioetanolo

II bioetanolo può essere prodotto da biomasse zuccherine (per esempio la canna da zucchero o la barbabietola da zucchero) o da biomasse amidacee (quali i cereali): gli zuccheri vengono fermentati, e l'etanolo viene quindi concentrato tramite distillazione e processi successivi (per esempio tramite setacci molecolari). Il processo di distillazione è fortemente energivoro: ove possibile (è il caso della canna da zucchero con la bagassa) i residui della materia prima possono essere utilizzati per generare l'energia termica ed elettrica necessaria al processo, e risparmiare energia fossile, migliorando così i benefici ambientali, altrimenti modesti. Il bioetanolo può essere aggiunto nelle benzine in percentuale variabile a seconda delle diverse legislazioni. È possibile arrivare fino al 10% senza dover modificare in alcun modo il motore, o adottando alcuni accorgimenti tecnici anche al 100% come in Brasile dove, per ragioni di politica energetica locale, l'etanolo è stato utilizzato per diversi anni anche come carburante «unico» (E100)in sostituzione della benzina. Oggi viene molto utilizzato anche in Svezia, la nazione europea dove più si sta sviluppando il mercato del bioetanolo. L'etanolo può essere impiegato inoltre per la produzione di ETBE (etil-tertiobutil etere), che oltre ad aumentare il numero di ottano nei carburanti, apporta alla miscela combustibile una percentuale di ossigeno che rende il processo di combustione più efficiente. Il minor contenuto di idrocarburi incombusti, o parzialmente ossidati comporta un minor impatto ambientale.
La produzione di biodiesel essenzialmente utilizza come materia prima oli vegetali: tramite un processo detto di transesterificazione con un alcool (normalmente etanolo), in presenza di un catalizzatore, si produce biodiesel e un sottoprodotto, la glicer/na, in misura pari a circa il 10% del biodiesel. Le caratteristiche chimico-fisiche del biodiesel risentono del tipo di olio vegetale da cui è stato prodotto: il biodiesel deve rispettare comunque specifiche norme (EN 14214 e 14213) che ne definiscono lo standard di qualità.
Tecnologie di seconda generazione
La produzione di biocombustìbili da biomasse lignocellulosi che anziché oleaginose o zuccherine, essendo realizzata attraverso complessi processi termochimici o biochimici, può apparire una scelta soprendente. In realtà i biocarburanti di seconda generazione rappresentano probabilmente la strada maestra verso gli obiettivi che l'Unione Europea e i Paesi Membri si sono dati. Le principali ragioni possono essere così riassunte: • Disponibilità di materia: la biomassa lignocellulosica è ampiamente disponibile in grandi quantità e in misura notevolmente maggiore rispetto alle oleaginose/zuccherine. • Costi della materia prima: il costo specifico della biomassa lignocellulosica, sia essa dedicata o residuale, è significativamente inferiore a quello delle tipiche biomasse per biocombustibili di prima generazione.
• Competizione con il settore food: l'utilizzo di biomassa lignocellulosica per sua stessa natura consente di evitare la competizione con le materie prime alimentari. • Sostenibilità: il bilancio energetico complessivo e le emissioni evitate dei biocombustibili di seconda generazione sono migliori di quelle di prima generazione. • Qualità: nel caso della produzione di diesel di sintesi de biomassa lignocelluloalca, la qualità del gasolio prodotto risulta migliore di quella del blodiesel da transesteriflcazione. SI stima che il settore dei biocombustibili di seconda generazione possa raggiungere la maturità industriale in un arco di tempo non inferiore ai 10-15 anni.

Tecnologie ibride

Esistono anche, a diversi livelli di maturità tecnologica, sistemi ibridi per la produzione di bio-combustibili liquidi. Tra questi citiamo, tralasciando quelli ancora a livello di ricerca iniziale:
Idrogenazione di oli vegetali e grassi: questo processo, idoneo per essere realizzato all'interno di complessi petrolchimici, consente la produzione di un biodiesel di qualità superiore. Questo beneficio è compensato dal fatto di utilizzare comunque una materia prima tradizionale, tipica dei biocarburanti di prima generazione, e non biomassa lignocellulosica, limitando cosile prospettive di mercato, pur essendo un processo prossimo alla maturità industriale. • Alghe: le piante acquai/che, e in particolare le microalghe, possono consentire di ottenere produttività elevatissime per unità di superficie occupata, e consentono anche di non entrare in competizione con il settore food. Lo stato tecnologico di questo settore suggerisce come obiettivo realistico la maturità industriale in un tempo non inferiore ai 5 anni.
Relativamente all'impatto dei biocarburanti sui prezzi degli alimenti, probabilmente a oggi sono altri i fattori che hanno portato nel corso dell'ultimo anno a una crescita così rapida e mai registrata in precedenza in questo settore, quali crescita del prezzo del petrolio, siccità, accresciuta domanda alimentare nel modo, e non di minore importanza - effetti speculativi sui mercati. Senza negare che evidentemente i biocarburanti hanno svolto un ruolo di traino su questi mercati, il loro reale impatto a oggi è molto probabilmente sovrastimato. Si tenga presente che nel corso degli ultimi 40 anni i prezzi reali delle materie prime hanno subito un costante declino, e che solo nel corso dell'ultimo anno si è vista una drastica inversione di tendenza. Essendo quindi un dato di fatto che le entrate nel settore agricolo sono cresciute, si potrebbe ritenere che, al netto delle speculazioni finanziarie che hanno fortemente condizionato anche il mercato del petrolio, si tratti piuttosto di un problema di redistribuzione della ricchezza. L'alternativa sarebbe ritornare a dei mercati primari, quali quelli agricoli, a bassissimo valore e in persistente calo dei prezzi, cosa forse non è più possibile in un mondo globalizzato e con la popolazione in costante crescita». •