venerdì 4 luglio 2008

Italia e biodiesel


Come evidenziato in un recente documento (Settembre 2007) del Governo Italiano, il nostro potenziale produttivo nel settore dei biocombustibili liquidi è modesto. Si stima che a fronte di un consumo di biocarburanti, al 31/12/05, di 0,3 MTOE (1TOE: Tonn of Oil Equiva-lent = 44,7x109 J), il passaggio a 4,2 MTOE previsto al 2020 sarà possibile solo ricorrendo a una importazione di 3,59 MTOE (produzione interna di soli 0,61 MTOE). Il terreno che sarebbe necessario per raggiungere gli obiettivi sarebbe infatti attorno ai 5 Mha, mentre un obiettivo realistico può essere considerato tra gli 0,5 e il milione di ha. L'utilizzo di tecnologie innovative, quali quelle dei biocarburanti di seconda generazione e i biocombustibili liquidi da alghe, rappresenta la sola realistica alternativa a una massiccia importazione di materia prima da Paesi extra-Europei quali America Latina, Africa, India.

Tecnologie di prima generazione Bioetanolo

II bioetanolo può essere prodotto da biomasse zuccherine (per esempio la canna da zucchero o la barbabietola da zucchero) o da biomasse amidacee (quali i cereali): gli zuccheri vengono fermentati, e l'etanolo viene quindi concentrato tramite distillazione e processi successivi (per esempio tramite setacci molecolari). Il processo di distillazione è fortemente energivoro: ove possibile (è il caso della canna da zucchero con la bagassa) i residui della materia prima possono essere utilizzati per generare l'energia termica ed elettrica necessaria al processo, e risparmiare energia fossile, migliorando così i benefici ambientali, altrimenti modesti. Il bioetanolo può essere aggiunto nelle benzine in percentuale variabile a seconda delle diverse legislazioni. È possibile arrivare fino al 10% senza dover modificare in alcun modo il motore, o adottando alcuni accorgimenti tecnici anche al 100% come in Brasile dove, per ragioni di politica energetica locale, l'etanolo è stato utilizzato per diversi anni anche come carburante «unico» (E100)in sostituzione della benzina. Oggi viene molto utilizzato anche in Svezia, la nazione europea dove più si sta sviluppando il mercato del bioetanolo. L'etanolo può essere impiegato inoltre per la produzione di ETBE (etil-tertiobutil etere), che oltre ad aumentare il numero di ottano nei carburanti, apporta alla miscela combustibile una percentuale di ossigeno che rende il processo di combustione più efficiente. Il minor contenuto di idrocarburi incombusti, o parzialmente ossidati comporta un minor impatto ambientale.
La produzione di biodiesel essenzialmente utilizza come materia prima oli vegetali: tramite un processo detto di transesterificazione con un alcool (normalmente etanolo), in presenza di un catalizzatore, si produce biodiesel e un sottoprodotto, la glicer/na, in misura pari a circa il 10% del biodiesel. Le caratteristiche chimico-fisiche del biodiesel risentono del tipo di olio vegetale da cui è stato prodotto: il biodiesel deve rispettare comunque specifiche norme (EN 14214 e 14213) che ne definiscono lo standard di qualità.
Tecnologie di seconda generazione
La produzione di biocombustìbili da biomasse lignocellulosi che anziché oleaginose o zuccherine, essendo realizzata attraverso complessi processi termochimici o biochimici, può apparire una scelta soprendente. In realtà i biocarburanti di seconda generazione rappresentano probabilmente la strada maestra verso gli obiettivi che l'Unione Europea e i Paesi Membri si sono dati. Le principali ragioni possono essere così riassunte: • Disponibilità di materia: la biomassa lignocellulosica è ampiamente disponibile in grandi quantità e in misura notevolmente maggiore rispetto alle oleaginose/zuccherine. • Costi della materia prima: il costo specifico della biomassa lignocellulosica, sia essa dedicata o residuale, è significativamente inferiore a quello delle tipiche biomasse per biocombustibili di prima generazione.
• Competizione con il settore food: l'utilizzo di biomassa lignocellulosica per sua stessa natura consente di evitare la competizione con le materie prime alimentari. • Sostenibilità: il bilancio energetico complessivo e le emissioni evitate dei biocombustibili di seconda generazione sono migliori di quelle di prima generazione. • Qualità: nel caso della produzione di diesel di sintesi de biomassa lignocelluloalca, la qualità del gasolio prodotto risulta migliore di quella del blodiesel da transesteriflcazione. SI stima che il settore dei biocombustibili di seconda generazione possa raggiungere la maturità industriale in un arco di tempo non inferiore ai 10-15 anni.

Tecnologie ibride

Esistono anche, a diversi livelli di maturità tecnologica, sistemi ibridi per la produzione di bio-combustibili liquidi. Tra questi citiamo, tralasciando quelli ancora a livello di ricerca iniziale:
Idrogenazione di oli vegetali e grassi: questo processo, idoneo per essere realizzato all'interno di complessi petrolchimici, consente la produzione di un biodiesel di qualità superiore. Questo beneficio è compensato dal fatto di utilizzare comunque una materia prima tradizionale, tipica dei biocarburanti di prima generazione, e non biomassa lignocellulosica, limitando cosile prospettive di mercato, pur essendo un processo prossimo alla maturità industriale. • Alghe: le piante acquai/che, e in particolare le microalghe, possono consentire di ottenere produttività elevatissime per unità di superficie occupata, e consentono anche di non entrare in competizione con il settore food. Lo stato tecnologico di questo settore suggerisce come obiettivo realistico la maturità industriale in un tempo non inferiore ai 5 anni.
Relativamente all'impatto dei biocarburanti sui prezzi degli alimenti, probabilmente a oggi sono altri i fattori che hanno portato nel corso dell'ultimo anno a una crescita così rapida e mai registrata in precedenza in questo settore, quali crescita del prezzo del petrolio, siccità, accresciuta domanda alimentare nel modo, e non di minore importanza - effetti speculativi sui mercati. Senza negare che evidentemente i biocarburanti hanno svolto un ruolo di traino su questi mercati, il loro reale impatto a oggi è molto probabilmente sovrastimato. Si tenga presente che nel corso degli ultimi 40 anni i prezzi reali delle materie prime hanno subito un costante declino, e che solo nel corso dell'ultimo anno si è vista una drastica inversione di tendenza. Essendo quindi un dato di fatto che le entrate nel settore agricolo sono cresciute, si potrebbe ritenere che, al netto delle speculazioni finanziarie che hanno fortemente condizionato anche il mercato del petrolio, si tratti piuttosto di un problema di redistribuzione della ricchezza. L'alternativa sarebbe ritornare a dei mercati primari, quali quelli agricoli, a bassissimo valore e in persistente calo dei prezzi, cosa forse non è più possibile in un mondo globalizzato e con la popolazione in costante crescita». •

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